Ho sempre interpretato la professione di medico di base come un percorso che mi ha posto costantemente accanto al paziente nei vari momenti della sua vita: ovviamente, prevalgono quei momenti in cui il suo benessere psico-fisico ha manifestato lacune o mancanze, altrimenti è verosimile che quel paziente non si sarebbe rivolto, in quel momento, al sottoscritto. Tuttavia, mi è sempre piaciuto pensare che il medico non sia semplicemente quella figura abile a prescrivere un farmaco, quanto piuttosto un professionista capace di valutare il quadro psico-fisico (prima ancora che clinico) di chi ha di fronte per predisporre poi una strategia di guarigione il più possibile mirata e, ovviamente, efficace.
Pensateci.
Quando vi rivolgete a un qualsiasi professionista, un avvocato, un architetto, chi preferite, difficilmente questi vi darà un riscontro immediato sulla soluzione finale che attuerà. Studierà, piuttosto, gli step da fare per giungere a un risultato ottenibile e soddisfacente, vi rimanderà a feedback seguenti, vi confronterete più volte. Dal medico, invece, spesso e volentieri si pretendono diagnosi precise e prognosi immediatamente efficaci.
Non funziona proprio così, o almeno non funziona così per un medico che ha davvero a cuore l’interesse dei propri pazienti.
A meno che, infatti, il sintomo non salti da subito all’occhio, e con esso le sue cause, così da predisporre da subito una terapia (penso, ad esempio, alle famose placche in gola, curabili con una terapia antibiotica cui associare – ma tanti non lo fanno! – l’assunzione di fermenti lattici per ripristinare la regolare flora batterica intestinale), il medico di base… “basico”… perdonate il gioco di parole, vi prescriverà tutta una serie di esami ad ampio raggio, alcuni dei quali spesso inutili.
Non solo. La stessa cosa accade con medici specialistici, con la differenza che la parcella di questi professionisti risulta ben più esosa, con il dialogo fra paziente e dottore possibile unicamente durante gli incontri, dopodiché… chi si è visto si è visto, con buona pace del paziente che magari continua a manifestare disagi.
Non voglio ergermi a ‘maestrino’, ci sono tantissimi medici che, oltre a essere eccellenti professionisti, hanno un’attitudine davvero lodevole nei confronti di ogni paziente essi incrocino.
Ma è proprio per questo, per il prezioso approccio che hanno questi colleghi, un approccio che il sottoscritto sposa in pieno, che mi rivolgo ai miei pazienti chiedendo loro dello stile di vita cui sono abituati, le abitudini che hanno, le azioni che esercitano, provando a comprendere le “zone d’ombra” che, a loro insaputa, possono causare un “deficit” al loro sistema energetico.
La terapia a base di biofotoni mi aiuta moltissimo in questo: il paziente si sente ancor più portato ad aprirsi avendo a che fare con un medico rappresentante del “metodo tradizionale”, se così vogliamo chiamarlo, ma al tempo stesso aperto a vagliare qualsivoglia ipotesi anticonvenzionale in funzione del benessere del paziente.
E’ fastidioso, d’altra parte, vedere colleghi comportarsi come dei robot, trattando i pazienti come dei numeri: abbiamo il privilegio di poter rendere migliore la vita degli altri, abbiamo studiato molto per questo, perché rovinare tutto con un atteggiamento simile? Ci pensa già il sistema sanitario, inteso come istituzioni, a complicarci la vita, perché metterci il carico noi stessi?
Ecco, i miei pazienti – presenti e futuri – devono sapere che il mio approccio si articola in questo modo, una modalità che potrà sembrare indiscreta vista da fuori (fermo restando il segreto professionale, vero e proprio totem nell’esercizio della mia professione) ma che comporta estremi benefici una volta che si affrontano piccoli e grandi problemi di salute. Insieme, il paziente con il suo medico.
Mi piacerebbe sapere anche voi cosa ne pensate, per farlo potete scrivermi alla mail info@domenicoalfieri.it